L’impronta delle cure materne sul DNA

Un nuovo studio nei topi ha dimostrato che i piccoli che ricevono meno cure materne nelle prime settimane di vita hanno meno retrotrasposoni, sequenze geniche ripetute, nei neuroni dell’ippocampo. Il significato di questo risultato non è chiaro, ma è coerente con quanto riscontrato nei bambini deprivati di cure(red)

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Scienziati e filosofi discutono da secoli intorno al dilemma natura/cultura, cioè su quali caratteristiche psicofisiche siano da considerare congenite, e quindi dovute alla natura, e quali fossero invece da attribuire all’influenza dell’ambiente, inteso nel senso più ampio del termine, comprendendo quindi anche l’educazione e le esperienze sociali e personali.

Negli ultimi anni, però, gli studi di biologia, e in particolare quelli di genetica, hanno reso sempre più evidente che non è possibile discutere del problema sulla base di una dicotomia così netta tra natura e cultura perché esistono importanti interconnessioni tra influenze ambientali e caratteri genetici.

Science Photo Library RF / AGF
L’ultimo studio a riguardo in ordine di tempo è stato pubblicato sulla rivista “Science” da Tracy A. Bedrosian e colleghi del Salk Institute for Biological Studies di La Jolla, in California, che hanno scoperto che nell’ippocampo di piccoli di topo che ricevono meno cure materne, il genoma ha un numero inferiore di retrotrasposoni, frammenti di DNA capaci di replicarsi autonomamente in diverse posizioni all’interno del genoma.

Il cervello, spiegano i ricercatori, può essere considerato un mosaico genomico. Nel corso dello sviluppo neurobiologico, infatti, deve rispondere in modo plastico agli stimoli ambientali, soprattutto durante le prime settimane di vita. Una parte considerevole di questa plasticità si deve alle modificazioni che subisce il DNA tramite i meccanismi epigenetici, che riguardano cioè la regolazione dell’espressione dei singoli geni.

Da alcuni studi è emerso però che i neuroni devono avere anche una plasticità più strutturale, riconducibile a trasformazioni nella sequenza del DNA. Responsabili di queste trasformazioni
sono i retrotrasposoni.

Per verificare l’influenza dell’ambiente nei primi giorni di vita sul DNA, Bedrosian e colleghi hanno studiato nei topi i retrotrasposoni di tipo L1, che possono ricorrere a migliaia nel genoma di questi animali. Le coppie di topi madre-cucciolo sono state monitorate per due settimane e poi assegnate a due gruppi differenti, divisi in base a un livello di cure materne basso oppure elevato.

L’analisi genomica ha poi rivelato che i piccoli che avevano ricevuto meno cure materne mostravano, all’interno dell’ippocampo, un livello di replicazione dei trasposoni decisamente superiore rispetto agli altri. Il dato interessante è che questo tipo di effetto non è stato osservato nelle cellule della corteccia cerebrale frontale e neppure nelle cellule cardiache. Ciò indica che difficilmente il numero di copie di L1 può essere considerato un fattore congenito.

Il profondo significato della correlazione tra cure materne e numero di trasposoni è ancora sconosciuto. Ma pare significativo, secondo gli autori, un collegamento con recenti studi condotti su esseri umani, in cui i retrotrasposoni dei bambini che da piccoli avevano subito deprivazioni di cure hanno mostrato di avere un deficit in uno dei meccanismi epigenetici fondamentali: la metilazione.

Tratto da: www.lescienze.it

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