Spiegato perché «sentiamo» quello che leggiamo

I neuroni del linguaggio comunicano fra loro con segnali elettrici che riproducono quelli che il cervello utilizza per produrre il suono delle parole corrispondenti.

Quando si pensa, anche senza parlare, i neuroni del linguaggio comunicano tra di loro onde elettriche che «copiano» le onde sonore delle parole corrispondenti.
Di fatto ciò rende in teoria potenzialmente possibile «leggere il pensiero» misurando l’attività elettrica direttamente, senza attendere l’emissione della voce dalla bocca. A dimostrarlo è uno studio, condotto dall’Università di Pavia e dalla Scuola Superiore Universitaria IUSS-Pavia, misurando l’attività elettrica del cervello in soggetti in stato di veglia durante operazioni neurochirurgiche.
Lo studio
La ricerca, dal titolo Sound representation in higher language areas during language generation, pubblicata sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Nazionale degli Stati Uniti d’America (PNAS), è stata concepita e progettata da Andrea Moro, ordinario di linguistica e direttore del laboratorio NeTS della Scuola Superiore Universitaria IUSS – Pavia e da Lorenzo Magrassi, associato di neurochirurgia dell’Università di Pavia, in collaborazione con Valerio Annovazzi, ordinario di elettronica del dipartimento di Ingegneria Industriale e dell’Informazione dell’Università degli Studi di Pavia.
Durante la produzione del linguaggio, i neuroni che sovrintendono alle capacità linguistiche dell’essere umano comunicano tra loro utilizzando forme d’onda che contengono la copia dell’impronta acustica delle parole usate anche in assenza di emissioni sonore, rendendo così possibile, in linea di principio, la lettura del linguaggio prima che venga prodotto dalla voce.

«Sentire» quello che si legge
Stefano Cappa, ordinario di Neuropsicologia all’università Vita e Salute- San Raffaele, di Milano, commenta: «Il lavoro descrive l’esito di ricerche condotte nel corso degli ultimi quattro anni su tracciati elettrocorticografici ricavati dall’emisfero specializzato per il linguaggio di pazienti sottoposti in anestesia locale ad interventi neurochirurgici per l’asportazione di lesioni cerebrali. Durante questi interventi è necessario al chirurgo identificare le aree cerebrali coinvolte nel linguaggio ed in altre funzioni superiori per poterle rispettare durante l’asportazione della patologia. Questa indicazione clinica consente di ricavare dati neurofisiologici, linguistici e comportamentali utilissimi per comprendere il funzionamento del cervello umano e le basi biologiche del linguaggio. Il lavoro degli studiosi ha permesso di dimostrare per la prima volta come l’attività elettrofisiologia delle aree del lobo frontale e temporale dedicate al linguaggio sia modellata sul suono delle parole. Le analisi condotte sui dati raccolti direttamente sul cervello dimostrano infatti che l’attività neuronale rispecchia l’andamento del segnale sonoro, anche in aree che non sono primariamente specializzate per la percezione uditiva. Questo è vero anche se le parole non vengono effettivamente pronunciate, ad esempio anche quando il paziente legge mentalmente un testo. Le osservazioni dello studio spiegherebbero così tra l’altro la diffusa impressione di sentir “risuonare” dentro di noi un discorso interno quando pensiamo. Questi risultati dimostrano la base oggettiva del fenomeno mentale del “linguaggio interno”».
Applicazioni future
La scoperta ha non solo molte implicazioni che riguardano le basi neurofisiologiche, la struttura e l’evoluzione del linguaggio umano, ma apre anche una serie di ipotesi su possibili applicazioni pratiche. La capacità di leggere il “linguaggio interno” direttamente dall’attività cerebrale potrebbe costituire una importante base per lo sviluppo di dispositivi protesici in grado di aiutare chi ha perso la capacità di articolare la parola in seguito a malattie del cervello

tratto da: www.corriere della sera.it

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