Si può imparare l’empatia verso gli estranei

La partecipazione ai problemi e alle sofferenze di chi non appartiene al nostro gruppo, ossia che è in qualche modo “straniero”, è tendenzialmente minore di quella che riserviamo ai membri del cosiddetto in group. Tuttavia, bastano poche esperienze positive con questi estranei per apprendere la capacità di esprimerla pienamente anche verso di essi.

L’empatia verso gli appartenenti a un gruppo diverso dal proprio può essere appresa: bastano poche esperienze positive con membri di quel gruppo. A dimostrarlo sono stati i ricercatori dell’Università di Zurigo e dell’University College di Londra che firmano un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.

L’empatia, ossia la capacità di immedesimarsi nei sentimenti che sta provando un’altra persona, si basa su una capacità innata, che viene però modulata da diversi fattori, alcuni dei quali richiedono un impegno cognitivo.

E’ noto per esempio che l’empatia è soggetta a bias, ossia distorsioni sistematiche, per esempio l’attribuzione di responsabilità: una vittima ritenuta corresponsabile della sofferenza che sta provando tende a suscitare meno empatia di una vittima incolpevole.

Ancora più forti sono i cosiddetti bias di familiarità o di in group, in virtù dei quali l’empatia è indirizzata in primo luogo verso i familiari e gli appartenenti al proprio gruppo (amici, persone simili a sé, che condividono particolari caratteristiche fisiche e/o culturali).

Verso gli estranei, ossia verso i membri dell’out group, in genere l’empatia si sviluppa invece molto più debolmente, specie se appartengono a gruppi verso i quali sono presenti stereotipi negativi. Questo – osservano gli autori del nuovo studio – può alimentare i conflitti sia tra persone di differenti nazionalità, sia fra gruppi culturali non omogenei che vivono in una società multiculturale.

Grit Hein e colleghi si sono chiesti se era possibile dimostrare sperimentalmente che questo bias sfavorevole può essere superato grazie a un
apprendimento effettuato con le stesse modalità di quando si impara a riconoscere un potenziale pericolo: coinvolgendo le stesse aree cerebrali e in seguito a pochissime esperienze (negative nel caso del pericolo, positive nel caso del superamento del bias).

I ricercatori hanno sottoposto a un test alcuni soggetti di cui hanno monitorato l’attività di alcune aree cerebrali coinvolte nell’espressione dell’empatia. I soggetti sono stati monitorati – sia prima sia dopo la “fase di apprendimento” dell’esperimento – mentre osservavano membri del proprio gruppo e membri dell’out group che ricevevano una scossa elettrica. La fase di apprendimento consisteva in una serie di sessioni sperimentali in cui a ricevere la scossa erano i soggetti stessi. In questo caso, tuttavia, la scossa poteva essere evitata se un membro dell’out group interveniva in soccorso del soggetto.

Dall’esame dei risultati è apparso che quando i soggetti testati erano stati aiutati a evitare la scossa – anche solo un paio di volte – da membri dell’out group, la loro risposta cerebrale empatica alla vista di un membro dell’out group che riceveva una scossa era molto superiore sia a quella che avevano prima della fase di apprendimento sia a quella manifestata da soggetti che non erano stati aiutati. Ossia, i soggetti avevano imparato a provare maggiore empatia per quegli “stranieri”.

Tratta da: www.lescienze.it

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